giovedì 1 dicembre 2011

"Champion" Jack Dupree

"Champ era come il suo blues:
semplice, senza inibizioni,
privo di orpelli inutili e aggressivo".
(Duncan P.Schiedt)



Cantante, pianista e ballerino, oltre che pugile di buona fama,
carattere cinico, ironico, beffardo, a volte anche arrogante e stizzoso, il Campione è stato un personaggio ruvido e difficile che ha condotto una vita avventurosa senza mai arretrare di un passo.
Figura storica del pianismo blues, fino agli anni novanta Jack Dupree è stato l'ultimo rappresentante dei maghi della tastiera provenienti dal crocevia razziale di New Orleans e quindi emersi da quella variopinta cultura popolare in cui la superstizione della religione si fonde con i riti pagani e animisti di antica matrice africana e la povertà dell'emarginazione convive con la ricchezza del vizio.
William Thomas Dupree nasce a New Orleans il 23 luglio 1909. E' di sangue africano, pellerossa e franco-creolo e la sua vita è segnata fin dall'inizio dal razzismo più intransigente e violento: la madre, una Cherockee, viene brutalmente e barbaramente assassinata dal Ku Klux Klan.
Come un altro grande della musica nera anch'egli nato nella Novella Orleans, Luis Armstrong, Dupree cresce alla Colored Waifs'Home For Boys, un orfanotrofio per neri.

E' proprio qui che impara a suonare il pianoforte ed è ancora un adolescente quando inizia ad esibirsi dove gli capita in cambio di pochi spiccioli e un pasto, ma con la possibilità di vedere suonare da vicino i grandi mostri sacri dell'epoca come Will Hall detto "Drive'em Down", Big Fat Charlie, Kid Stormy Weather e "Archibald" Leon Gros.
In breve tempo diventa una presenza fissa seduto alle tastiere dei bordelli e dei bar del quartiere francese a luci rosse della Crecent.

Attorno al '30 lascia New Orlens per Chicago dove si esibisce nelle feste private e nei club ma nella Windy non si trova a suo agio e dopo un anno trascorso sopratutto a vendere whiskey clandestino e a suonare al Continantal Cafè decide di puntare su Detroit.
La musica però passa in secondo piano di fronte ad una brillante carriera da pugile che intraprende dalle parti di Indianapolis.
In tutto sale sul ring più di cento volte e diventa campione dei pesi leggeri dell'Indiana (ecco spiegata l'origine del soprannome).

Dopo qualche tempo trascorso al Cotton Club di Indianapolis dove fà l'intrattenitore e il comico finalmente nel '40 decolla la sua carriera musicale con Lester Melrose che lo porta in studio di registrazione a Chicago per la OKeh e già dall'inizio il suo stile sembra essere un vero anello di congiunzione tra il vecchio pianismo barrelhouse del passato ed i suoni più moderni.
Nel '42 Jack viene arruolato e mentre fà il cuoco nel Pacifico viene catturato dai Giapponesi e trascorre due anni in un campo di concentramento.
Dopo la guerra si stabilisce a New York dove registra per diverse etichette come la Savoy e la King, continuando con l'unico mestiere onesto che ha imparato a fare oltre alla musica e cioè cucinare,infatti era anche un ottimo cuoco specializzato nella cucina creola.
Nella trentina di brani che incide tra il '53 e il '55 c'è anche Walking The Blues che raggiunge il sesto posto nelle classifiche R&B.
Alla fine degli anni cinquanta arrivano le incisioni per la Groove e la Vik e nel '59 arriva in Europa, prima a Parigi, poi a Zurigo.
Il vecchio continente gli piace e si stabilisce prima in Danimarca e poi in Inghilterra prima di scegliere definitivamente la Germania a metà degli anni settanta. Nel frattempo lavora per diverse etichette di blues europee con risultati artistici altalenanti ma esibendosi ovunque gli sia possibile, costruendosi così un nutrito seguito di fans che gli consente di vivere con una discreta agiatezza.
Non volta però definitivamente le spalle agli Stati Uniti, ci torna infatti nel '90 per esibirsi al Jazz & Eritage festival di New Orleans e registrare Back Home In New Orleans per la Bullseye. Nel '91 arriva il seguito dal titolo premonitore: Forever And Ever: quell'album diventerà il suo testamento artistico.
C'è ancora tempo per un acclamata partecipazione al festival della Crecent ed una al Chicago Blues Festival, poi arriva l'epilogo della sua vita avventurosa.
Il Campione viene mandato al tappeto dal cancro e lascia per sempre il ring ad Hannover il 21 gennaio del 1992.

Da indomabile istrione ha sempre parlato della sua musica, ma sempre poco volentieri della sua vita e del suo passato di dolore, di povertà, di umiliazioni. Si era lasciato alle spalle tutto questo addirittura scegliendo l'esilio, che per lui significava sopratutto distanza da una terra che gli ricordava la sofferenza.
Il Campione ha però portato fino ai giorni nostri suoni spumeggianti profumati di aromi antichi che nelle taverne buie e pericolose della Crecent City di inizio '900 aveva condiviso con pianisti mitici i cui nomi sono ormai andati irrimediabilmente persi nella nebbia del tempo.


Il suo repertorio rifletteva una una profonda conoscenza del blues e delle sue diramazioni e la sua voce vissuta era in grado di affrontare tutte le sfumature dell'anima.
Gli ultimi due dischi incisi a ottant'anni suonati dimostrano la validità e la sincerità del suo messaggio nonchè la saggezza tracciata nelle rughe del volto che nemmeno la gigionesca corona e gli abiti sgargianti riuscivano a sminuire.
Attraverso i suoi dischi si può ripercorrere buona parte del cammino della musica afroamericana del secolo scorso e nemmeno le migliaia di chilometri di distanza dai luoghi di origine del blues hanno iquinato più di tanto il suo stile.
Un vero Campione...









martedì 29 novembre 2011

David "Honeyboy" Edwards

"Una voce forte e penetrante, accompagnata da una splendida
chitarra e da un ritmo mosso e urgente"
(Robert Palmer, New York Times)



Tra gli ultimi testimoni del vecchio stile rurale del blues del Delta.
David Edwards nasce il 28 giugno 1915 a Shaw, nel cuore del Mississippi e non dimenticherà mai le sue origini rurali.
Cresciuto a Greenwood, impara molto da personaggi mitici come Charlie Patton, Big Joe Williams e Robert Johnson (delle ultime ore di quest'ultimo è in pratica luno dei pochi testimoni) e anche da figure minori di bluesman itineranti che passavano dalle sue parti come Tommy McClennan e Robert Petway.
Fin dalle sue prime incisioni per la Biblioteca del Congresso nel '41 organizzate da Alan Lomax mette in mostra tutte le sue doti vocali e strumentali (chitarra e harmonica) in un country blues rurale dall'elevato spessore emotivo.
Dieci anni dopo torna in studio per l'American recording Co. di Houston e poi per la Sun di Memphis e la Chess di Chicago (quelle session vedranno la luce solo molti anni dopo,considerate probebilmente troppo "campagnole" per i gusti "moderni" dell'epoca).

Nel '57 si esibisce per la strada a Chicago dove si è trasferito in cerca di occasioni migliori.
Elettrificato il suo suono senza cedere di un millimetro dall'ispirazione originaria, torna in studio nel '64 e nel '67 e due anni dopo partecipa anche a Blues Jam at Chess con i Fleetwood Mac, ma sembra condannato a non veder comparire su disco il suo lavoro.
Negli anni '70 và un pò meglio tanto da arrivare anche in Europa dove riesce ad incidere il suo primo disco, Blues Blues Blues del '75 il cui tour arriva anche in Giappone e nel '79 il vecchio amico Michael Frank che ha appena fondato la Earwing pubblica Old Friend con Walter Horton, Floyd Johns e Kansas City Red.
Per il primo lavoro americano di lunga durata devono passare ancora tre anni, ma I've Been Around per la Trix non delude le aspettative che il vecchio Honeyboy mantiene fino agli anni novanta con i suoi lavori targati Earwing nonostante le sue incisioni restino sporadiche.
Nel '97 registra allo storico Sky Club di Leland, Mississippi, il live The World Dont Owe Me Nothing, Pubblicato sempre dalla Earwing, titolo che prende anche la sua autobiografia.


Poi negli anni a seguire le sue condizioni di salute si aggravarono sempre di più e di conseguenza si esibisce sempre di meno.
Edwards muore il 29 Agosto 2011 per un attacco di cuore alle 3 del mattino nella sua casa.
Non sorprende che dopo tante delusioni abbia preferito incidere poco preferendo il contatto diretto con il pubblico e anche quando prese in mano la chitarra elettrica il suo approccio rimase sempre quello delle origini, con lui se ne và quella generazione di padri fondatori del blues dei primordi di cui lui era l'ultimo testimone diretto.
Un bluesman e un blues che non hanno mai conosciuto il significato del compromesso.






lunedì 21 novembre 2011

Big Bill Broonzy

"A lui si devono i più attendibili
racconti sul blues
che siano mai stati registrati"
(Arnold Shaw)




Strano destino quello di Big Bill Broonzy.
Negli anno '70, quando con imperdonabile ritardo con il resto d'Europa da noi si iniziava a scoprire il blues, veniva considerato una figura di primissimo piano della musica nera delle origini.
Poi chi ha avuto la pazienza di approfondire il discorso su una letteratura che all'epoca era difficilissima da reperire (e spesso di dubbia affidabilità) ha scoperto che i puristi consideravano Big Bill poco più di un usurpatore, un furbo affarista che si era barcamenato nelle acque di un'insperata popolarità solo nel nome del guadagno.... che delusione, ma il tempo porta giudizio.
Oggi si può dire che la verità stà nel mezzo e, anche se la figura dello scaltro Broonzy è stata brutalmente ridimensionata, nulla toglie al fatto di aver fatto conoscere ad un pubblico completamente analfabeta di blues un suono che molti hanno imparato ad apprezzare proprio grazie a lui.
William Lee Conley Broonzy nasce il 26 Giugno 1893 a Scott, Mississippi, da una famiglia di mezzadri.
Fà il bracciante, ma è mentre guida il mulo che sviluppa la sua incredibile potenza vocale (non bisogna dimenticare che l'origine del blues viene dagli "Holler"i richiami di lavoro nei campi)
Attorno a lui l'atmosfera è pregna di musica.
E' Uncle Jerry -suo zio di nome e di fatto- a fargli ascoltare le prime canzoni rurali che il giovane Bill inizia a strimpellare con un rudimentale violino ricavato dalla solita scatola riciclata.

Prima che la famiglia si sposti in Arkansas ha ormai imparato a cavarsela e a 14 anni si esibisce con la chitarra e canta alle feste da ballo e ai raduni campestri, poi viene chiamato alle armi e partecipa alla prima guerra mondiale.
Una volta congedato torna ai lavori nei campi in Arkansas ma decide che vuole diventare presto un cantante professionista
All'inizio degli anni venti sta vagabondando a nord di Chicago quando incontra Papa Charlie Jackson, è lui ad insegnargli i veri segreti della chitarra blues.
Nonostante sia arrivato relativamente tardi ad approfondire la tecnica chitarristica Bill è un talento naturale ed impara molto presto a destreggiarsi alla grande sia con gli intrecci del ragtime che con il blues, ma la sua vera forza è rappresentata dalla limpida e potentissima voce, tra l'altro caratterizzata da una dizione ineccepibile, cosa davvero rara tra i neri dell'epoca, spesso affetti da penalizzanti difetti di pronuncia e da pesantissime inflessioni dialettali.
I temi delle sue canzoni, tra l'altro, riflettono la vita della città alla luce però dell'esperienza di un uomo che viene dalla campagna e non se ne vergogna.
E' proprio questa consapevolezza a consentirgli una forza di penetrazione eccezionale tra le decine di migliaia di neri che hanno abbandonato i campi per cercare una vita migliore negli agglomerati urbani del nord e in questo senso Big Bill rappresenta un anello di congiunzione importante tra lo stile di intrattenimento arcaico dei Medicine Show e la fase più moderna della divulgazione del blues, quella cioè che può contare sui dischi e sulla radio.
Negli anni trenta Bill diventa un artista di punta della scena della Windy City e può dedicare più tempo alla musica, anche se riuscirà molto tempo dopo a lasciare tutte le altre occupazioni dalle quali ricavava il suo sostentamento, nella sua burrascosa vita aveva fatto di tutto,anche attività fuori legge.
La sua fama si espande a dismisura quando partecipa alla rivista "From spirituals to swing" di John Hammond nel '38 e nel '39 alla Carnegie Hall di NY.
Questo gli consente di mantenere il ruolo di padrino del blues di Chicago fino alla seconda guerra mondiale, quando può già contare su almeno duecento incisioni, la sua popolarità era così grande che fino al '49 sui suoi dischi non era necessario mettere il suo nome per intero, bastava Big Bill!
Ma siamo al canto del cigno nero, l'arrivo delle chitarre elettriche e di artisti come Muddy Waters spinge inevitabilmente Broonzy nelle retrovie.
Lui però è un uomo dalle mille risorse.
Invece di ritirarsi riesce a ritagliarsi il ruolo di ambasciatore del blues all'estero.
E' in queste vesti che nel '51 approda in Europa portando con sé gli standard del blues, le canzoni tradizionali folk e gli antichi canti della tradizione nera per riproporli ad un audience entusiasta e piuttosto acritica che lo accoglie a braccia aperte.
Sopratutto in Francia e in Inghilterra Big Bill rappresenta il primo di una serie di pezzi da novanta del blues che avrebbero attraversato l'oceano di lì a poco.
E' in questo periodo che finisce per inquinare maggiormente la sua musica, ripescando a piene mani nello sterminato repertorio della musica sia sacra che profana con qualche furbizia di troppo.
Ma è il pubblico che gli chiede di suonare così e và tenuto conto che lo fece solo in questa fase finale della carriera nonostante gli infiniti successi ottenuti in passato.
Così facendo si guadagna anche un pò di soldi.
Nel '55 con l'aiuto di Yannick Bruynoghe scrive la storia della sua vita nel libro Big Bill's Blues originariamente pubblicato dalla London e che è la prima autobiografia di un bluesman, lui imparò a scrivere solo pochi anni prima dagli studenti della Iowa University dove lavorava come custode.
La fine è vicina.
Due anni dopo gli viene diagnosticato un cancro alla gola.
Ancora una volta lui non molla e nonostante il grande dolore continua ad esibirsi fino a quando la malattia prende il sopravvento su di lui il 15 agosto 1958 a Chicago.

A partire dal suo esordio alla fine degli anni venti, nella sua lunga carriera,  Bill ha registrato sia da solo che con centinaia di altri artisti, il suo blues ha spaziato dal ragtime al country blues più rurale e solitario, dai suoni urbani con accenti jazzati ai tradizionali canti di di matrice religiosa.
Qualunque fosse la sua fonte originaria in tutte le sua interpretazioni ha infuso la sua grande conoscenza delle radici della musica nera, aggiungendo spesso il fervore di che sa come trasmettere emozioni profonde.
Ad essere pignoli in alcune registrazioni si percepisce chiaramente che, in quell'occasione, era entrato in studio solo per percepire qualche dollaro in più ma non c'è dubbio che la sua influenza si sia fatta pesantemente sentire su intere schiere di musicisti più giovani di lui, spesso infatti prese sotto la sua protezione musicisti giovani appena arrivati a Chicago dalle campagne del sud aiutandoli a spuntare un contratto discografico che altrimenti non sarebbero mai riusciti ad ottenere con le proprie forze, anche se le malelingue sostengono che era soltanto un lavoro di talent scout ben pagato delle case discografiche.
Sta di fatto che la storia attesta che ha lavorato assieme con nomi del calibro di Memphis Minnie, Tampa Red, Jazz Gillum, Lonnie Johnson e John Lee "Sonny Boy" Williamson 1 e che tutti l'hanno sempre rispettato consapevoli di avere al fianco un musicista di grandissimo talento e un uomo di grande orgoglio che spesso ha dovuto chinare la testa per non rivivere quella povertà indigente che in gioventù conobbe troppo da vicino.






giovedì 10 novembre 2011

Blind Blake

"Un grande chitarrista, devo a quello che ho imparato
da lui molti dei soldi che ho guadagnato nella mia carriera"
(Big Bill Broonzy)






Se è vero che il mistero contribuisce ad alimentare il mito - ed è vero - nel caso di Blind Blake ci si trova di fronte ad un mistero decisamente fitto a cui corrisponde un mito che non accenna a cedere agli insulti del tempo.
Nessun artista di grande successo - e lui lo fù sicuramente, almeno nel campo del Blues - è riuscito a mantenere un'aura di così inaccessibile riservatezza attorno a sè come fece lui, facendola arrivare praticamente intatta a quasi un secolo dalla sua scomparsa.
In effetti della vita di quello che viene considerato a pieno titolo uno dei padri fondatori dello stile Blues dell'East Coast non si sà praticamente nulla.
I dubbi nascono addirittura dal luogo e dalla data di nascita.
Secondo alcuni infatti Blind Blake sarebbe nato a Jacksonville, in Florida, all'inizio dell'ultimo decennio dell'800 ma c'è chi sostiene che venisse dalle Sea Island della Georgia meridionale mentre altre fonti parlano di Tampa, ancora Florida, e altri sostengono l'ipotesi che in realtà arrivasse dai Caraibi.
Persino il suo nome è tutt'altro che certo: potrebbe essere stato Arthur Phelps o Arthur Blake, anche se ha inciso pure utilizzando gli pseudonimi  Billy James e Blind Bill, l'attribuzione del copyright riporta comunque il nome di Blind Arthur Blake.

La biografia si basa dunque su supposizioni.
Non è certo difficile immaginare che, come altri musicisti ciechi di colore, anche il giovane Blind Blake si sia dovuto guadagnare da vivere suonando agli angoli delle strade per qualche spicciolo e ai balli del sabato sera per un pò di whiskey e una minestra calda.
Di certo si sà che viaggiò molto.
Nei primi anni venti per esempio Blake trascorre diverso tempo ad Atlanta, portato dalla moglie di Blind Willie McTell, Kate McTell.
Suona per qualche tempo con il vecchio bluesman Bill Williams, per le strade di Bristol in Virginia, mentre Josh White dichiarerà di averlo conosciuto a Charleston, Virginia occidentale e sta di fatto che i suoi continui spostamenti tra il sudest e il midwest lo hanno reso già un mito prima ancora che sia arrivato ad incidere un disco.
Negli anni venti per i neri tutte le strade portano inevitabilmente a Chicago, ed è lì che nel '26 viene scoperto da Mayo Williams della Paramount.
Alla prima registrazione di quello stesso anno incide "West Coast Blues" che ottiene subito un grande successo e che , all'interno della casa discografica, lo posiziona come l'artista di colore più redditizio oltre a Blind Lemon Jefferson.
Così ha la possibilità di registrare diverso materiale -circa ottanta canzoni- fino a quando l'etichetta fallisce nel '32.
Probabilmente il suo destino si compie poco dopo dalle parti di Tampa, anche se -in linea con la sua storia misteriosa- la data, le cause e il luogo del decesso restano ignote, anche se alcuni dicono che se ne andò in modo violento, forse investito da un'auto.
Per quanto riguarda il lavoro lasciato dietro di sè emerge subito l'incredibile varietà di stili che hanno fatto parte del suo universo artistico e che Blind Blake ha caratterizzato con la sua voce nasale e l'ispiratissima chitarra, infatti si passa senza soluzioni di continuo dal blues al ragtime, agli strumentali e ai duetti con Gus Cannon (Banjo Joe) invadendo persino i territori del jazz con le registrazioni con il clarinettista Johnny Dodds e il batterista Jimmy Bertrand.
Sono sopratutto degne di nota alcune similitudini con i suoi due più famosi compagni di etichetta: Blind Lemon Jefferson e Charlie Patton. Prima di tutto questi tre grandi si possono considerare i capostipiti dei loro rispettivi generi: Jefferson per il blues rurale Texano, Patton per quello del Delta e Blake per quello pedemontano dell'East Coast. Tutti e tre ebbero inoltre la possibilità di registrare decine e decine di brani per la Paramount, quando all'epoca ad altri bluesman veniva concesso al massimo di registrare una manciata di brani o poco più per poi venir rispediti sulla strada dove erano stati trovati...
Ma c'è anche una line d'ombra che collega in modo drammatico e oscuro la vicenda personale di questi tre grandissimi personaggi del blues, facendo assumere contorni decisamente inquietanti alle loro biografie,infatti morirono tutti in giovane età, attorno ai trent'anni e in circostanze misteriose che per Jefferson e Blake non sono mai state chiarite. Tutti e tre lasciarono soltanto una fotografia.
Incalcolabile l'influenza che ebbero sulle generazioni a venire del blues.
A differenza degli altri due che lasciarono una miriade di discepoli ditro di loro, il solitario Blake non lasciòb eredi diretti, anche se la sua Eco su quanto si è poi sentito suonare sulla East Coast è evidentissima e la sua Diddie Wah Diddie è d'obbligo per chi vuole cimentarsi nel genere.
Il suo stile lo si può trovare oltre nell'ovvio Blind Boy Fuller e nel sound di Buddy Moss e del Reverendo Gary Davis.
Sul versante più strettamente tecnico Blind Blake secondo alcuni è stato uno dei chitarristi di ragtime più abili che siano mai approdati ad uno studio di registrazione.
Il fitto buio che circonda la sua vita fà da perfetto contraltare allas orpresa che ancora oggi suscita il suo suono pulito ed incredibilmente tecnico.
In effetti Blake si può considerare molto più di un bluesman, con il suo crossover ante litteram che combinava blues, ragtime, jazz e stili arcaici fondendoli in una miscela musicale affascinante dalla quale è sgorgato più di un filone di quello che oggi viene chiamato comunemente e genericamente Blues.



John Henry Barbee

".....al crocevia di Hennings, nella contea di Shelby
il Diavolo doveva essere maledettamente in ritardo...
così dimentica William George Tucker, abbandonandolo
alla deriva di una drammatica vita di fughe,
violenze e desolazioni" (Antonio Lodetti)




Una vicenda terribile segnata dalla pura e una vita spesa all'insegna della fuga, coma un animale braccato.
In realtà il vero nome di John Henry Berbee è William Goerge Tucker o per lo meno questo è il nome con cui viene battezzato il 14 novembre del 1905 a Hennings nella contea di Shelby nel Tennessee dove nessuno poteva prevedere che avrebbe vissuto in modo tanto disperato e violento.
E dire che dopo il canonico apprendistato le cose per lui stavano volgendo al meglio dopo le collaborazioni con John Lee Williamson (Sonny Boy 1) e Sunnyland Slim nell'area del Delta verso la metà degli anni trenta.
Certo il suo stile piuttosto rozzo e primitivo e la sua voce sgraziata non gli garantiscono grandi speranze di successo, ma probabilmente con il tempo e grandi sacrifici la possibilità di mantenersi con la musica potrebbe non essere un'illusione.
Ma il destino ha in serbo qualcosa di diverso per lui.
In circostanze che non verranno mai chiarite (pare che un guardiano - tale Mr. Charlie - volesse rubargli la donna) viene accusato dell'assassinio di un uomo, per giunta bianco, dalle parti di Luxora in Arkansas.
Proprio non se la sente di affrontare un processo che gli sembra scontato (e lo è!) così si dà alla macchia e per diverso tempo fà perdere le proprie tracce, vivendo nel costante terrore di essere identificato..
Inevitabile l'arrivo a Chicago nel '38 sull'onda di una delle grandi migrazioni dalle campagne del Sud verso le grandi città del Nord.

Per non farsi riconoscere assume un'identità nuova di zecca, quella di John Henry Barbee appunto, ed è sotto questo nome che registra alcuni brani per la Vocalion nella più totale indifferenza del pubblico.
Ma non molla.
Continua infatti imperterrito ad esibirsi sui marciapiedi di Maxwell Street in compagnia della sola chitarra e di altri cani sciolti come lui fino a quando viene chiamato sotto le armi nei primi anni quaranta.
Il ritorno è anonimo come la vita che si è trovato cucita addosso.
Sopravvive con lavori saltuari, che nulla hanno a che vedere con la musica, per vent'anni e solo negli anni sessanta viene riscoperto, avendo la possibilità di incidere per l'etichetta di Victoria Spivey nel '64.
Il pubblico e l'ambiente gli danno credito e John Henry Barbee arriva anche in Europa al seguito del American Folk Blues Festival. Ma chi lo conosce da vicino si accorge che è un uomo profondamente segnato. La durissima vita che ha condotto gli ha minato lo spirito e il cuore.
Abbandonato a se stesso si lascia andare alla deriva e finisce per essere coinvolto in un brutto incidente d'auto.
A quel punto non ne può più e decide di costituirsi per chiarire una volta per tutte la sua vicenda giudiziaria.
Colpito da un infarto muore il 3 novembre 1964 mentre un'ambulanza lo trasporta dalla prigione all'ospedale, ma sopratutto mentre è in attesa di quel processo che ha tanto temuto per tutta la vita.
Viene sepolto al Restvale Cemetery di Worth, Illinois.
Anche per restituire dignità ad un'esistenza disperata, merita attenzione l'unico album che lascia ai posteri, pubblicato dalla Storyville.
E' un lavoro tutto da ascoltare. Poco importa la voce acida e il chitarrismo stentato: la musica è gravida di significati drammatici e il suo unico lavoro arrivato fino a noi è anche un impetuoso testamento pervaso di tutta la lacerante carica di dolore che soltanto il blues più autentico può trasmettere, trasudando la mortificazione di una vita e di una razza intera







martedì 18 ottobre 2011

Peg Leg Howell

"Tra i primi a mettere su disco
l'affascinante patchwork
di antichi canti da lavoro, storie
della tradizione e materiale proprio"
(Giles Oakley)




Tra i protagonisti più influenti della scena blues di Atlanta degli anni venti, il chitarrista e cantante Peg Leg Howell è stato anche uno dei primi bluesman ad arrivare ad incidere su disco.
Il suo debutto risale al '26 e contrassegna l'entrata in scena della Columbia nel mercato dei race records.
Il suo stile comprendeva danze rurali e canzoni folk, a volte si cimentava con il ragtime, ma "Peg Leg" interpretava anche vero blues.
Joshua Barnes Howell nasce il 5 marzo del lontanissimo 1888 a Eatonton, nella profonda Georgia rurale e impara da solo a suonare la chitarra.
Nel '16 avviene la tragedia dalla quale prenderà il nome d'arte: durante una discussione con il cognato compaiono le pistole e Howell viene ferito ad una gamba che gli viene amputata.
Da allora lo chiamano "Peg Leg" ovvero "Gamba di legno".
Impossibilitato a lavorare nei campi Howell è costretto a puntare sulla musica per guadagnarsi da vivere.
Arriva ad Atlanta negli anni venti suonando agli angoli delle strade.
Quello che ricava non gli basta per cui decide bene di dedicarsi anche alla distillazione clandestina di liquori.
Finisce così che nel '25 viene arrestato e finisce in prigione per un anno.
Un talen scout della Columbia lo sente suonare nel '26 e gli offre un contratto.
Alla prima sessione registra New Prison Blues, un brano
che ha imparato dietro le sbarre e che vende abbastanza copie da convincere la casa discografica a farlo incidere fine al '29 da solo o come "Peg Leg" Howell & his Gang, in compagnia del chitarrista Henry Williams e del violinista Eddie Anthony, il loro unico hit è il danzereccio Beaver Slide Rag del '27.
Esaurito il contratto torna con Williams e Anthony a Decatur Street, il luogo blues di Atlanta.
Williams però viene incarcerato e morirà in prigione mentre Anthony muore a sua volta nel '34.
Rimasto solo Howell e scompare progressivamente dalle scene.
Nel '52 a causa del diabete gli viene amputata anche l'altra gamba.
Vive nell'oscurità per circa altri dieci anni fino a quando nel '63 viene riscoperto e incide per la Testament, che lo scrittura più per aiutarlo con le royalties che per contare realmente su un suo contributo artistico vero e proprio.
Muore l' 11 agosto del 1966.
Peg Leg Howell è considerato uno dei primi esponenti della scuola di Piedmont, sopratutto nei suoi lavori da solista dove si esprimeva con una voce monocorde e vicina al recitato mentre con la sua gang proponeva un genere più leggero.
Approfittò del primo boom del blues ma non ad adeguarsi ai tempi.
Restano le sue prime incisioni a testimonianza delle origini del blues e di una vita travagliatissima.






Leroy Carr

"Alla fine degli anni venti Leroy Carr
in pratica rivoluziona lo stile del canto Blues"
(Samuel B.Charters)






Protagonista assieme al chitarrista Scrapper Blackwell di una delle  accoppiate pianoforte-chitarra più celebri di tutti i tempi.
Carr era un nero diverso per la sua epoca,era nato in città e non arrivava dal sud inoltre apparteneva ad una famiglia relativamente benestante (suo padre faceva il bidello alla Venderbilt University  di Nashville).
Nato il 27 marzo 1095 a Nashville, quand'è ancora un bambino i suoi genitori si separano e lui va a vivere con la madre e la sorella prima nel Kentucky, poi a Indianapolis che all'epoca è la capitale dell'industria automobilistica nonchè meta della migrazione di bianchi e neri provenienti dal Sud in cerca di lavoro (questo spiega perchè la pista più importante d'America sia qui e non a Detroit).
Non appena impara a suonare il piano Leroy lascia la scuola e, preso dalla voglia di avventura, si unisce ad un circo e poi si arruola nell esercito, Una volta congedato si sposa e lavora per un pò come distillatore clandestino di whiskey, poi trova lavoro in un magazzino di carni. Alla metà degli anni venti però è già in grado di mantenersi da solo suonando alle feste nei club e nelle case private dalle parti di Indiana Avenue.

E' probabilmente qui che incontra il chitarrista e distillatore clandestino Francis "Scrapper" Blackwell con il quale forma un duo che si fà presto notare.
All'epoca però Scrapper considera marginale la musica rispetto all'attività illegale e non intende allontanarsi dalla sua distilleria.
Nel '28 però vengono contattati dalla Vocalion e alla prima seduta registrano How Long How Long Blues che diventa un hit.
Leroy e Scrapper continuano a suonare il loro blues introspettivo attraversando relativamente indenni i duri anni della depressione.
Sono i più ricercati nei locali di Idianapolis, Chicago, St.Louis, ma la passione per il whiskey clandestino sta devastando Carr anche se il deperimento non influisce sulla qualità della sua musica (unico segno evidente è la voce un pò affaticata).
Nel febbraio del '35 Carr e Scrapper entrano in studio di registrazione insieme per l'ultima volta e l'ultima canzone registrata da Carr è tristemente profetica: Six Cold Feet In The Ground. Due mesi dopo, in preda alla cirrosi, muore a soli trent'anni di una crisi renale lasciando l'amico Blackwell in una buia depressione che lo avrebbe tenuto lontano dalla musica per decenni.

Quasi un secolo più tardi lo stile di Carr e Blackwell conserva tutto il suo valore, mentre molti dei loro contemporanei suonano terribilmente datati. Uno dei segreti è l'armonia che regnava nella coppia, oltre ad abilità raramente così integrate. Negli otto anni del loro sodalizio i due hanno inciso diversi grandi brani oltre a How Long How Long Blues ,si possono citare Naptown Blues, Mean Minstrear Mama, Blues Before Sunrise, Midnight Hour Blues, Hurry Down Sunshine.
Il pianismo di Carr, intimista e sotto le righe, era distante anni luce dall'aggressività dei protagonisti della scena Barellhouse come Pine Top Smith e del frenetico approccio boogie di Pete Johnson e Meade "Lux" Lewis, ma la sua influenza sulle generazioni seguenti è stata significativa anche per il canto che ha fatto proseliti tra personaggi come Champion Jack Dupree, T-Bone Walker, Otis Spann, Jimmy Rushing e innumerevoli artisti R&B e Rock fino ad oggi.
A testimonianza che qualcuno si ricorda di lui, nel '93 la tomba di Leroy Carr è stata riscoperta al Floral Park Cemetery di Indianapolis nel più totale abbandono, ma due DJ -Bob Kevoian e Tom Griswold- hanno organizzato una colletta per aquistare una lapide degna di quel gentile pianista d'altri tempi.