giovedì 10 novembre 2011

John Henry Barbee

".....al crocevia di Hennings, nella contea di Shelby
il Diavolo doveva essere maledettamente in ritardo...
così dimentica William George Tucker, abbandonandolo
alla deriva di una drammatica vita di fughe,
violenze e desolazioni" (Antonio Lodetti)




Una vicenda terribile segnata dalla pura e una vita spesa all'insegna della fuga, coma un animale braccato.
In realtà il vero nome di John Henry Berbee è William Goerge Tucker o per lo meno questo è il nome con cui viene battezzato il 14 novembre del 1905 a Hennings nella contea di Shelby nel Tennessee dove nessuno poteva prevedere che avrebbe vissuto in modo tanto disperato e violento.
E dire che dopo il canonico apprendistato le cose per lui stavano volgendo al meglio dopo le collaborazioni con John Lee Williamson (Sonny Boy 1) e Sunnyland Slim nell'area del Delta verso la metà degli anni trenta.
Certo il suo stile piuttosto rozzo e primitivo e la sua voce sgraziata non gli garantiscono grandi speranze di successo, ma probabilmente con il tempo e grandi sacrifici la possibilità di mantenersi con la musica potrebbe non essere un'illusione.
Ma il destino ha in serbo qualcosa di diverso per lui.
In circostanze che non verranno mai chiarite (pare che un guardiano - tale Mr. Charlie - volesse rubargli la donna) viene accusato dell'assassinio di un uomo, per giunta bianco, dalle parti di Luxora in Arkansas.
Proprio non se la sente di affrontare un processo che gli sembra scontato (e lo è!) così si dà alla macchia e per diverso tempo fà perdere le proprie tracce, vivendo nel costante terrore di essere identificato..
Inevitabile l'arrivo a Chicago nel '38 sull'onda di una delle grandi migrazioni dalle campagne del Sud verso le grandi città del Nord.

Per non farsi riconoscere assume un'identità nuova di zecca, quella di John Henry Barbee appunto, ed è sotto questo nome che registra alcuni brani per la Vocalion nella più totale indifferenza del pubblico.
Ma non molla.
Continua infatti imperterrito ad esibirsi sui marciapiedi di Maxwell Street in compagnia della sola chitarra e di altri cani sciolti come lui fino a quando viene chiamato sotto le armi nei primi anni quaranta.
Il ritorno è anonimo come la vita che si è trovato cucita addosso.
Sopravvive con lavori saltuari, che nulla hanno a che vedere con la musica, per vent'anni e solo negli anni sessanta viene riscoperto, avendo la possibilità di incidere per l'etichetta di Victoria Spivey nel '64.
Il pubblico e l'ambiente gli danno credito e John Henry Barbee arriva anche in Europa al seguito del American Folk Blues Festival. Ma chi lo conosce da vicino si accorge che è un uomo profondamente segnato. La durissima vita che ha condotto gli ha minato lo spirito e il cuore.
Abbandonato a se stesso si lascia andare alla deriva e finisce per essere coinvolto in un brutto incidente d'auto.
A quel punto non ne può più e decide di costituirsi per chiarire una volta per tutte la sua vicenda giudiziaria.
Colpito da un infarto muore il 3 novembre 1964 mentre un'ambulanza lo trasporta dalla prigione all'ospedale, ma sopratutto mentre è in attesa di quel processo che ha tanto temuto per tutta la vita.
Viene sepolto al Restvale Cemetery di Worth, Illinois.
Anche per restituire dignità ad un'esistenza disperata, merita attenzione l'unico album che lascia ai posteri, pubblicato dalla Storyville.
E' un lavoro tutto da ascoltare. Poco importa la voce acida e il chitarrismo stentato: la musica è gravida di significati drammatici e il suo unico lavoro arrivato fino a noi è anche un impetuoso testamento pervaso di tutta la lacerante carica di dolore che soltanto il blues più autentico può trasmettere, trasudando la mortificazione di una vita e di una razza intera







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