lunedì 21 novembre 2011

Big Bill Broonzy

"A lui si devono i più attendibili
racconti sul blues
che siano mai stati registrati"
(Arnold Shaw)




Strano destino quello di Big Bill Broonzy.
Negli anno '70, quando con imperdonabile ritardo con il resto d'Europa da noi si iniziava a scoprire il blues, veniva considerato una figura di primissimo piano della musica nera delle origini.
Poi chi ha avuto la pazienza di approfondire il discorso su una letteratura che all'epoca era difficilissima da reperire (e spesso di dubbia affidabilità) ha scoperto che i puristi consideravano Big Bill poco più di un usurpatore, un furbo affarista che si era barcamenato nelle acque di un'insperata popolarità solo nel nome del guadagno.... che delusione, ma il tempo porta giudizio.
Oggi si può dire che la verità stà nel mezzo e, anche se la figura dello scaltro Broonzy è stata brutalmente ridimensionata, nulla toglie al fatto di aver fatto conoscere ad un pubblico completamente analfabeta di blues un suono che molti hanno imparato ad apprezzare proprio grazie a lui.
William Lee Conley Broonzy nasce il 26 Giugno 1893 a Scott, Mississippi, da una famiglia di mezzadri.
Fà il bracciante, ma è mentre guida il mulo che sviluppa la sua incredibile potenza vocale (non bisogna dimenticare che l'origine del blues viene dagli "Holler"i richiami di lavoro nei campi)
Attorno a lui l'atmosfera è pregna di musica.
E' Uncle Jerry -suo zio di nome e di fatto- a fargli ascoltare le prime canzoni rurali che il giovane Bill inizia a strimpellare con un rudimentale violino ricavato dalla solita scatola riciclata.

Prima che la famiglia si sposti in Arkansas ha ormai imparato a cavarsela e a 14 anni si esibisce con la chitarra e canta alle feste da ballo e ai raduni campestri, poi viene chiamato alle armi e partecipa alla prima guerra mondiale.
Una volta congedato torna ai lavori nei campi in Arkansas ma decide che vuole diventare presto un cantante professionista
All'inizio degli anni venti sta vagabondando a nord di Chicago quando incontra Papa Charlie Jackson, è lui ad insegnargli i veri segreti della chitarra blues.
Nonostante sia arrivato relativamente tardi ad approfondire la tecnica chitarristica Bill è un talento naturale ed impara molto presto a destreggiarsi alla grande sia con gli intrecci del ragtime che con il blues, ma la sua vera forza è rappresentata dalla limpida e potentissima voce, tra l'altro caratterizzata da una dizione ineccepibile, cosa davvero rara tra i neri dell'epoca, spesso affetti da penalizzanti difetti di pronuncia e da pesantissime inflessioni dialettali.
I temi delle sue canzoni, tra l'altro, riflettono la vita della città alla luce però dell'esperienza di un uomo che viene dalla campagna e non se ne vergogna.
E' proprio questa consapevolezza a consentirgli una forza di penetrazione eccezionale tra le decine di migliaia di neri che hanno abbandonato i campi per cercare una vita migliore negli agglomerati urbani del nord e in questo senso Big Bill rappresenta un anello di congiunzione importante tra lo stile di intrattenimento arcaico dei Medicine Show e la fase più moderna della divulgazione del blues, quella cioè che può contare sui dischi e sulla radio.
Negli anni trenta Bill diventa un artista di punta della scena della Windy City e può dedicare più tempo alla musica, anche se riuscirà molto tempo dopo a lasciare tutte le altre occupazioni dalle quali ricavava il suo sostentamento, nella sua burrascosa vita aveva fatto di tutto,anche attività fuori legge.
La sua fama si espande a dismisura quando partecipa alla rivista "From spirituals to swing" di John Hammond nel '38 e nel '39 alla Carnegie Hall di NY.
Questo gli consente di mantenere il ruolo di padrino del blues di Chicago fino alla seconda guerra mondiale, quando può già contare su almeno duecento incisioni, la sua popolarità era così grande che fino al '49 sui suoi dischi non era necessario mettere il suo nome per intero, bastava Big Bill!
Ma siamo al canto del cigno nero, l'arrivo delle chitarre elettriche e di artisti come Muddy Waters spinge inevitabilmente Broonzy nelle retrovie.
Lui però è un uomo dalle mille risorse.
Invece di ritirarsi riesce a ritagliarsi il ruolo di ambasciatore del blues all'estero.
E' in queste vesti che nel '51 approda in Europa portando con sé gli standard del blues, le canzoni tradizionali folk e gli antichi canti della tradizione nera per riproporli ad un audience entusiasta e piuttosto acritica che lo accoglie a braccia aperte.
Sopratutto in Francia e in Inghilterra Big Bill rappresenta il primo di una serie di pezzi da novanta del blues che avrebbero attraversato l'oceano di lì a poco.
E' in questo periodo che finisce per inquinare maggiormente la sua musica, ripescando a piene mani nello sterminato repertorio della musica sia sacra che profana con qualche furbizia di troppo.
Ma è il pubblico che gli chiede di suonare così e và tenuto conto che lo fece solo in questa fase finale della carriera nonostante gli infiniti successi ottenuti in passato.
Così facendo si guadagna anche un pò di soldi.
Nel '55 con l'aiuto di Yannick Bruynoghe scrive la storia della sua vita nel libro Big Bill's Blues originariamente pubblicato dalla London e che è la prima autobiografia di un bluesman, lui imparò a scrivere solo pochi anni prima dagli studenti della Iowa University dove lavorava come custode.
La fine è vicina.
Due anni dopo gli viene diagnosticato un cancro alla gola.
Ancora una volta lui non molla e nonostante il grande dolore continua ad esibirsi fino a quando la malattia prende il sopravvento su di lui il 15 agosto 1958 a Chicago.

A partire dal suo esordio alla fine degli anni venti, nella sua lunga carriera,  Bill ha registrato sia da solo che con centinaia di altri artisti, il suo blues ha spaziato dal ragtime al country blues più rurale e solitario, dai suoni urbani con accenti jazzati ai tradizionali canti di di matrice religiosa.
Qualunque fosse la sua fonte originaria in tutte le sua interpretazioni ha infuso la sua grande conoscenza delle radici della musica nera, aggiungendo spesso il fervore di che sa come trasmettere emozioni profonde.
Ad essere pignoli in alcune registrazioni si percepisce chiaramente che, in quell'occasione, era entrato in studio solo per percepire qualche dollaro in più ma non c'è dubbio che la sua influenza si sia fatta pesantemente sentire su intere schiere di musicisti più giovani di lui, spesso infatti prese sotto la sua protezione musicisti giovani appena arrivati a Chicago dalle campagne del sud aiutandoli a spuntare un contratto discografico che altrimenti non sarebbero mai riusciti ad ottenere con le proprie forze, anche se le malelingue sostengono che era soltanto un lavoro di talent scout ben pagato delle case discografiche.
Sta di fatto che la storia attesta che ha lavorato assieme con nomi del calibro di Memphis Minnie, Tampa Red, Jazz Gillum, Lonnie Johnson e John Lee "Sonny Boy" Williamson 1 e che tutti l'hanno sempre rispettato consapevoli di avere al fianco un musicista di grandissimo talento e un uomo di grande orgoglio che spesso ha dovuto chinare la testa per non rivivere quella povertà indigente che in gioventù conobbe troppo da vicino.






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